Escursione del 28 settembre 2025 a Monte Cavallo per il posizionamento della targa del Progetto Gli Ottomille.
Appuntamento con Elena Serban alle 7,25 alla chiesa di San Luca. Cielo coperto dopo un acquazzone mattutino.
Partenza da Messina e arrivo a Roccalumera alle 7,50. Qui c’era Giuseppe Fava che ci aspettava e siamo andati ad un vicino bar per fare colazione.
Posteggiata la macchina di Elena sul lungomare siamo saliti su quella di Giuseppe che, con molta disponibilità, oggi ci fa da guida su un percorso diverso da quelli generalmente indicati per raggiungere Monte Cavallo partendo da Mandanici oppure dalla Santissima.
Da Roccalumera abbiamo imboccato la via Torrente Sciglio e poi la SP 25/b di Sciglio che abbiamo abbandonato ad una curva alcune centinaia di metri prima di arrivare nel borgo per immetterci su una strada con le indicazioni Contrisa e Cammino valle del Dinarini.
Dopo circa venti minuti su una strada che si inerpica tra i terreni coltivati, con fondo a volte sconnesso, tanto che in un punto abbiamo sgombrato le pietre rotolate dal soprastante pendio abbiamo superato un nucleo di vecchie abitazioni di contadini e di nuove ville con telecamere di sorveglianza e cancelli automatici , alle 8,35, a quasi cinque chilometri dalla deviazione, abbiamo parcheggiato la macchina in contrada Contrisa, vicino ad un cancello con un cartello con scritto ” Attenti al cane feroce”.
Il cielo è coperto e c’è minaccia di pioggia, e alle 8,37 ci incamminiamo sulla comoda strada in salita tra le ultime case del piccolo nucleo di case .La pendenza è accettabile, andando avanti si vedono dei bellissimi panorami : verso sud Capo Sant’Alessio con il castello, monte Veneretta e Monte Kalfa e dall’altra parte il castello di Fiumedinisi .
A un certo punto abbiamo incontrato un signore in macchina insieme alla moglie che stavano trasportando dei bidoni di mosto prodotti nella sua vigna poco distante e Giuseppe gli ha chiesto informazioni sullo stato del sentiero Scillizzo e se fosse percorribile o meno, ma non lo sapeva perché non andava da diversi anni.
Alle 9,15 abbiamo incontrato un gruppo di cacciatori con due fuoristrada e i cani che si apprestavano ad una battuta di caccia ai cinghiali negli impervi valloni al di sotto della strada.
Prendendo spunto da questa pratica abbiamo parlato delle nostre esperienze personali relative ai pericoli che si possono correre durante le escursioni per sgradevoli incontri con cani, maiali, bovini ed altre specie e dei comportamenti da seguire per evitare problemi.
Dopo circa due chilometri e 200 metri dalla partenza,alle 9,20, in corrispondenza di una curva a sinistra , all’altezza di un albero con una strana incavatura, siamo arrivati ad un bivio dove a destra la strada scende nel vallone da cui provenivano i latrati dei cani e le voci di altri cacciatori.
La strada prosegue in salita verso Pizzo Speria e poi verso Pizzo Scillizzo .
La morfologia dei luoghi circostanti è caratterizzata da una successione di picchi, crinali e burroni. Dalla linea di cresta, stretta e sinuosa, che corre ad un’altitudine media di 800-1000 m. precipitano a valle, entro gole profonde, innumerevoli corsi d’acqua che nel tratto medio-inferiore si aprono in ampie fiumare piene di detriti.
Le rocce più diffuse, di antichissima datazione, sono in parte di origine magmatica ed in parte metamorfica con stratificazioni di scisti , quarzo, granito etc.. il suolo è spesso in arenaria facilmente disgregabile ed asportabile dall’impeto delle acque.
Giuseppe lungo la strada ci ha indicato i rilievi più importanti visibili su entrambi i versanti con il caratteristico Pizzo Faleco alla nostra destra, raggiungibile con un sentiero non particolarmente agevole e con la parte sommitale franata negli scorsi anni nel vallone sopra Fiumedinisi.
Le frane, di dimensioni anche imponenti, sono visibili sui fianchi delle montagne circostanti completamente prive di vegetazione , distrutta da innumerevoli incendi.
La strada a volte si riduce a una traccia che corre tra alti cespugli di salvione e di euforbie, ma non ci sono particolari problemi a parte qualche breve rampa .
Alle 10,15 la strada passa in un boschetto molto fitto di vecchi castagni carichi di ricci non ancora maturi, con i muretti a secco dei terrazzamenti in ottime condizioni e con una casa con i muri perimetrali ancora integri.
Si avanza in uno scenario completamente diverso rispetto a quello desolato incontrato poco prima e alle 10,29 si incontra un altro rudere completamente incendiato di cui restano solo i muri, le travi carbonizzate del tetto e qualche elemento di arredo, oltre a una incongrua finestratura in alluminio anodizzato.
Per un lungo tratto, tra le pietre del sentiero, abbiamo incontrato migliaia di scarabei stercorari impegnati a realizzare le palline di sterco ovino, abbondanti ovunque, lavorando da soli o in gruppo.
Dopo circa mezz’ora, alle 11,03, a sei chilometri dalla partenza, si arriva ad una strada con un cancello in ferro che dà su una vallata praticamente a strapiombo.
Qui si cominciano a vedere i cartelli triangolari, completamente sbiaditi, che delimitano la zona della riserva Fiumedinisi/Monte Scuderi.
Da destra arriva la strada che parte dalla Santissima, costeggia il torrente Capitanello e attraversa la contrada Brunno.
Dopo 700 metri, in parte avvolto nelle nuvole, appare il massiccio del Monte Cavallo e alla sua destra punta Murtareddu.
Si prosegue sulla strada sterrata e dopo un’ampia curva a sinistra, a sette chilometri dalla partenza , si incontra una strada che va a sinistra ma che non si deve prendere.
Poche centinaia di metri dopo, sulla destra, si imbocca una traccia che porta in cresta in un tratto quasi fuori pista che passa da Portella Palumba.
Sono le il cielo si è completamente annuvolato, il vento soffia a raffiche e comincia a cadere qualche goccia di pioggia che fa temere il peggio, ma noi non demordiamo e iniziamo decisi la risalita sul sentiero , poco più di una traccia, piuttosto confuso tra pietre e con strapiombi da entrambi i lati puntando verso punta Murtareddu.
La rampa, di quasi 900 metri , è piuttosto impegnativa con pendenza media del 18%.Nel tratto finale costeggia una recinzione , in parte abbattuta perché gli incendi hanno bruciato i paletti di sostegno, e alle 12,13 raggiungiamo un’altra trazzera proveniente anch’essa da destra da Fiumedinisi.
Abbiamo proseguito su questa strada verso Monte Cavallo per alcune centinaia di metri e, prima di arrivare ad un grosso albero di agrifoglio che la costeggia, l’abbiamo abbanbonata inerpicandoci sul fianco della montagna , su un sentiero abbastanza visibile che porta sulla “sella” dalle quale abbiamo raggiunto le due gobbe del monte.
Alle 12,32, a quasi nove chilometri dalla partenza , abbiamo raggiunto la nostra meta: il punto più alto di Monte Cavallo.
La montagna è una delle cime principali dei Monti Peloritani, situata tra i territori di Mandanici, Fiumedinisi e Santa Lucia del Mela. raggiunge un’altezza di 1 216 metri sul livello del mare.
Al nostro arrivo in cima spirava un vento piuttosto forte e, nonostante la temperatura non fosse particolarmente bassa, siamo stati costretti ad indossare le giacche a vento..
Nuvole basse coprivano tutto , ma quando c’era qualche spiraglio si aveva un’idea del territorio circostante, con panorama sul borgo di Mandanici, sull’area selvaggia, fittamente boscata del cosiddetto Bosco San Ferdinando, porzione montana appartenente al comune rivierasco di Nizza di Sicilia, e su tutto il paesaggio che si puó ammirare dai crinali peloritani.
Tutta la parte sommitale è coperta da rocce di un bianco smagliante che ricordano il marmo e da steli secchi di cardi.
Dopo una breve ricognizione e consultazione abbiamo scelto il luogo in cui posizionare la targa, vicino ad una fossa circolare profonda una sessantina di centimetri che sembra essere stata scavata artificialmente , piena di cespugli verdi di salvione.
La roccia è risultata molto dura e solo con l’ausilio della percussione sul trapano abbiamo fatto i quattro fori per il fissaggio, usando punte di diametro crescente, per alloggiare i tasselli ad espansione preventivamente cosparsi di acciaio liquido. Dopo circa quaranta minuti di lavoro Elena ha ufficialmente scoperto la targa e abbiamo scattato le foto che ci immortalavano sul posto.
Mentre eravamo in cima abbiamo esaminato la possibilità di non fare la stessa strada percorsa all’andata per vedere luoghi diversi, in particolare Postoleoni, distante, secondo Giuseppe, poco più di mezz’ora, ma questo avrebbe comportato la necessità di trovare un mezzo di trasporto per raggiungere la macchina. Alberto, superando la reticenza di Giuseppe, ha telefonato a Marcello per verificare la sua disponibilità a prenderci a Mandanici e una volta ottenuta, abbiamo deciso quale itinerario seguire.
Alle 13,35 siamo scesi dalla cima per raggiungere la strada in basso senza seguire un sentiero, camminando in fuori pista tra le rocce sparse e, nella parte più in basso, tra le alte felci dove , dopo un quarto d’ora, poco prima di raggiungere la strada, abbiamo incrociato un grosso bruco.
La sterrata prosegue con contenuti saliscendi tra alberi di lecci,abeti, robinie e pini, uno dei quali , con buona parte delle radici nel vuoto, abbiamo fotografato alle 14,20.
Dopo un paio di minuti abbiamo superato i ruderi di una piccola costruzione, parzialmente coperta con lastre di eternit, che in passato ha offerto rifugio ad alcuni escursionisti guidati da Giuseppe.
Alle 15,37 abbiamo superato due pilastri posti ai lati della strada per alloggiare una catena e da qui si ha un’altra prospettiva di Monte Cavallo e del mare Ionio.
Alle 14,41, a circa 2,2 chilometri dalla cima, dopo avere superato pizzo Cipolla, la strada si innesta sulla Dorsale dei Peloritani che,; a destra prosegue per Monte Poverello, Piano ppseguendo si apprezzano splendidi panorami sui boschi e sulle vallate.
Dopo una decina di minuti si supera un cancello verde che sbarra una pista forestale di servizio che scende verso destra e dopo altri dieci minuti si intercetta fonte Lilicita dove si possono riempire le borracce.
Da qui in avanti la Dorsale si apre sul versante tirrenico con bellissimi scorci sulle montagne, su Rocca Vernava e , in fondo, sulla penisola di Milazzo e sul mare.
Alle 15,15 siamo finalmente arrivati a Postoleoni, a 4 chilometri e mezzo dalla partenza.
L’area attrezzata è ben tenuta, ci sono molti tavoli con panche, strutture per fare la brace,due fontane e un caratteristico pagliaio con dentro panche dove si può trovare riparo in caso di maltempo, dal momento che il grande edificio in muratura e i locali posti più in basso sono chiusi al pubblico.
Nella vasta area c’è anche un laghetto circolare completamente recintato per impedire di accedere per evitare incidenti come quello accaduto nel maggio del 2018 quando vi annegò un uomo di Mandanici.
Preso posto ad uno dei tavoli abbiamo consumato il nostro pranzo mentre dal cielo, nuovamente annuvolato, cadeva qualche gocciolina di pioggia.
L’area ricade nel comune di Pace del Mela, e seguendo una strada in discesa si arriva a Castel di Margi e a Castroreale.
Noi invece, intorno alle 16,00, ci siamo rimessi in cammino sulla strada che ,in salita, porta a Pizzo Mualio.
Dopo una quindicina di minuti abbiamo superato una edicola votiva eretta come ex voto di ringraziamento alla Vergine Maria dai due componenti della pattuglia della Forestale da lei salvati in un incidente del 28 dicembre 1992 e dopo cinque minuti siamo arrivati ad un palo con sopra una stazione metereologica alimentata da due pannelli solari.
Qui si lascia la Dorsale dei Peloritani e si prosegue sulla Trazzera Mandanici-Piano Margi-Castroreale.
Alle 16,24, a un chilometro e mezzo da Postoleoni, alla fine della salita, sotto Pizzo Mualio, abbiamo fotografato una lapide con sopra scritto: ” A MARCELLO, IN RICORDO DEL PIACEVOLE TEMPO TRASCORSO INSIEME “ci è sembrata simpatica e l’abbiamo postata sulla chat di Recolacafè.
A questo punto ci siamo resi conto di essere stati troppo ottimisti quando avevamo dato appuntamento a Marcello alle 17,00 a Mandanici e gli abbiamo telefonato per dirgli di arrivare più tardi, ma la connessione non è riuscita.
Da qui in avanti la strada è tutta in discesa e l’abbiamo seguita senza prendere alcuna deviazione, superando alle 16,30 il cancello con uno scavalco che porta ad un casolare ristrutturato con un orto ben curato e successivamente Fossa Lupo, da dove parte una pista che porta al Torrente Dinarini, affluente del Torrente Pagliara che raggiunge Mandanici.
Per buona parte del percorso la strada corre tra gli alberi e supera il bosco delle Fate, dove anni fa Giuseppe incontrò un essere di bassa statura, quasi uno gnomo.
Partendo da questa esperienza la conversazione è scivolata su fatti inspiegabili accaduti in diverse occasioni e Elena ci ha parlato del libro che sta leggendo in questi giorni, scritto da Giandomenico Ruta, intitolato “Messina Infernale ” che tratta di fatti inquietanti che sono avvenuti in città, la terza, dopo Torino e Genova in cui ci sono persone che credono nel diavolo e celebrano messe nere e riti satanici con sacrifici umani.
Secondo l’autore ci sarebbero 1800 persone affiliate a queste sette i cui capi sarebbero insospettabili professionisti e uomini di potere della “Messina bene”.
Ad un certo punto ha chiamato Marcello,; che era già arrivato a Mandanici insieme a Santino, e Giuseppe gli ha detto di proseguire fino alla fine della strada asfaltata.
Proseguendo siamo stati superati da un gruppo di ciclisti che successivamente hanno incontrato Marcello.
Alle 17,30 dopo più di un’ora di discesa, abbiamo visto un cartello che indica il “Cammino Valle Dinarini” posizionato in maniera errata e Giuseppe lo ha ruotato come necessario.
Superato pizzo Melia, dove è installato un brutto, ma necessario ripetitore, siamo stati nuovamente chiamati da Marcello che aveva proseguito anche sulla strada sterrata e finalmente , alle 18,00 circa, siamo arrivati alla sua macchina.
Marcello ci ha accompagnati al lungomare di Roccalumera dove c’era la macchina di Elena e siamo tornati a Messina e poi hanno portato Giuseppe a recuperare la sua macchina al punto di partenza.
Il percorso complessivo registrato è stato di circa 22 chilometri, con una ascesa di 890 metri, il trekking è stato particolarmente piacevole, sia per i luoghi attraversati che per la piacevolissima compagnia e Giuseppe si è dimostrato, ancora una volta, una guida attenta e responsabile.
Appuntamento con Elena Serban alle 7,25 alla chiesa di San Luca. Cielo coperto dopo un acquazzone mattutino.
Partenza da Messina e arrivo a Roccalumera alle 7,50. Qui c’era Giuseppe Fava che ci aspettava e siamo andati ad un vicino bar per fare colazione.
Posteggiata la macchina di Elena sul lungomare siamo saliti su quella di Giuseppe che, con molta disponibilità, oggi ci fa da guida su un percorso diverso da quelli generalmente indicati per raggiungere Monte Cavallo partendo da Mandanici oppure dalla Santissima.
Da Roccalumera abbiamo imboccato la via Torrente Sciglio e poi la SP 25/b di Sciglio che abbiamo abbandonato ad una curva alcune centinaia di metri prima di arrivare nel borgo per immetterci su una strada con le indicazioni Contrisa e Cammino valle del Dinarini.
Dopo circa venti minuti su una strada che si inerpica tra i terreni coltivati, con fondo a volte sconnesso, tanto che in un punto abbiamo sgombrato le pietre rotolate dal soprastante pendio abbiamo superato un nucleo di vecchie abitazioni di contadini e di nuove ville con telecamere di sorveglianza e cancelli automatici , alle 8,35, a quasi cinque chilometri dalla deviazione, abbiamo parcheggiato la macchina in contrada Contrisa, vicino ad un cancello con un cartello con scritto ” Attenti al cane feroce”.
Il cielo è coperto e c’è minaccia di pioggia, e alle 8,37 ci incamminiamo sulla comoda strada in salita tra le ultime case del piccolo nucleo di case .La pendenza è accettabile, andando avanti si vedono dei bellissimi panorami : verso sud Capo Sant’Alessio con il castello, monte Veneretta e Monte Kalfa e dall’altra parte il castello di Fiumedinisi .
A un certo punto abbiamo incontrato un signore in macchina insieme alla moglie che stavano trasportando dei bidoni di mosto prodotti nella sua vigna poco distante e Giuseppe gli ha chiesto informazioni sullo stato del sentiero Scillizzo e se fosse percorribile o meno, ma non lo sapeva perché non andava da diversi anni.
Alle 9,15 abbiamo incontrato un gruppo di cacciatori con due fuoristrada e i cani che si apprestavano ad una battuta di caccia ai cinghiali negli impervi valloni al di sotto della strada.
Prendendo spunto da questa pratica abbiamo parlato delle nostre esperienze personali relative ai pericoli che si possono correre durante le escursioni per sgradevoli incontri con cani, maiali, bovini ed altre specie e dei comportamenti da seguire per evitare problemi.
Dopo circa due chilometri e 200 metri dalla partenza,alle 9,20, in corrispondenza di una curva a sinistra , all’altezza di un albero con una strana incavatura, siamo arrivati ad un bivio dove a destra la strada scende nel vallone da cui provenivano i latrati dei cani e le voci di altri cacciatori.
La strada prosegue in salita verso Pizzo Speria e poi verso Pizzo Scillizzo .
La morfologia dei luoghi circostanti è caratterizzata da una successione di picchi, crinali e burroni. Dalla linea di cresta, stretta e sinuosa, che corre ad un’altitudine media di 800-1000 m. precipitano a valle, entro gole profonde, innumerevoli corsi d’acqua che nel tratto medio-inferiore si aprono in ampie fiumare piene di detriti.
Le rocce più diffuse, di antichissima datazione, sono in parte di origine magmatica ed in parte metamorfica con stratificazioni di scisti , quarzo, granito etc.. il suolo è spesso in arenaria facilmente disgregabile ed asportabile dall’impeto delle acque.
Giuseppe lungo la strada ci ha indicato i rilievi più importanti visibili su entrambi i versanti con il caratteristico Pizzo Faleco alla nostra destra, raggiungibile con un sentiero non particolarmente agevole e con la parte sommitale franata negli scorsi anni nel vallone sopra Fiumedinisi.
Le frane, di dimensioni anche imponenti, sono visibili sui fianchi delle montagne circostanti completamente prive di vegetazione , distrutta da innumerevoli incendi.
La strada a volte si riduce a una traccia che corre tra alti cespugli di salvione e di euforbie, ma non ci sono particolari problemi a parte qualche breve rampa .
Alle 10,15 la strada passa in un boschetto molto fitto di vecchi castagni carichi di ricci non ancora maturi, con i muretti a secco dei terrazzamenti in ottime condizioni e con una casa con i muri perimetrali ancora integri.
Si avanza in uno scenario completamente diverso rispetto a quello desolato incontrato poco prima e alle 10,29 si incontra un altro rudere completamente incendiato di cui restano solo i muri, le travi carbonizzate del tetto e qualche elemento di arredo, oltre a una incongrua finestratura in alluminio anodizzato.
Per un lungo tratto, tra le pietre del sentiero, abbiamo incontrato migliaia di scarabei stercorari impegnati a realizzare le palline di sterco ovino, abbondanti ovunque, lavorando da soli o in gruppo.
Dopo circa mezz’ora, alle 11,03, a sei chilometri dalla partenza, si arriva ad una strada con un cancello in ferro che dà su una vallata praticamente a strapiombo.
Qui si cominciano a vedere i cartelli triangolari, completamente sbiaditi, che delimitano la zona della riserva Fiumedinisi/Monte Scuderi.
Da destra arriva la strada che parte dalla Santissima, costeggia il torrente Capitanello e attraversa la contrada Brunno.
Dopo 700 metri, in parte avvolto nelle nuvole, appare il massiccio del Monte Cavallo e alla sua destra punta Murtareddu.
Si prosegue sulla strada sterrata e dopo un’ampia curva a sinistra, a sette chilometri dalla partenza , si incontra una strada che va a sinistra ma che non si deve prendere.
Poche centinaia di metri dopo, sulla destra, si imbocca una traccia che porta in cresta in un tratto quasi fuori pista che passa da Portella Palumba.
Sono le il cielo si è completamente annuvolato, il vento soffia a raffiche e comincia a cadere qualche goccia di pioggia che fa temere il peggio, ma noi non demordiamo e iniziamo decisi la risalita sul sentiero , poco più di una traccia, piuttosto confuso tra pietre e con strapiombi da entrambi i lati puntando verso punta Murtareddu.
La rampa, di quasi 900 metri , è piuttosto impegnativa con pendenza media del 18%.Nel tratto finale costeggia una recinzione , in parte abbattuta perché gli incendi hanno bruciato i paletti di sostegno, e alle 12,13 raggiungiamo un’altra trazzera proveniente anch’essa da destra da Fiumedinisi.
Abbiamo proseguito su questa strada verso Monte Cavallo per alcune centinaia di metri e, prima di arrivare ad un grosso albero di agrifoglio che la costeggia, l’abbiamo abbanbonata inerpicandoci sul fianco della montagna , su un sentiero abbastanza visibile che porta sulla “sella” dalle quale abbiamo raggiunto le due gobbe del monte.
Alle 12,32, a quasi nove chilometri dalla partenza , abbiamo raggiunto la nostra meta: il punto più alto di Monte Cavallo.
La montagna è una delle cime principali dei Monti Peloritani, situata tra i territori di Mandanici, Fiumedinisi e Santa Lucia del Mela. raggiunge un’altezza di 1 216 metri sul livello del mare.
Al nostro arrivo in cima spirava un vento piuttosto forte e, nonostante la temperatura non fosse particolarmente bassa, siamo stati costretti ad indossare le giacche a vento..
Nuvole basse coprivano tutto , ma quando c’era qualche spiraglio si aveva un’idea del territorio circostante, con panorama sul borgo di Mandanici, sull’area selvaggia, fittamente boscata del cosiddetto Bosco San Ferdinando, porzione montana appartenente al comune rivierasco di Nizza di Sicilia, e su tutto il paesaggio che si puó ammirare dai crinali peloritani.
Tutta la parte sommitale è coperta da rocce di un bianco smagliante che ricordano il marmo e da steli secchi di cardi.
Dopo una breve ricognizione e consultazione abbiamo scelto il luogo in cui posizionare la targa, vicino ad una fossa circolare profonda una sessantina di centimetri che sembra essere stata scavata artificialmente , piena di cespugli verdi di salvione.
La roccia è risultata molto dura e solo con l’ausilio della percussione sul trapano abbiamo fatto i quattro fori per il fissaggio, usando punte di diametro crescente, per alloggiare i tasselli ad espansione preventivamente cosparsi di acciaio liquido. Dopo circa quaranta minuti di lavoro Elena ha ufficialmente scoperto la targa e abbiamo scattato le foto che ci immortalavano sul posto.
Mentre eravamo in cima abbiamo esaminato la possibilità di non fare la stessa strada percorsa all’andata per vedere luoghi diversi, in particolare Postoleoni, distante, secondo Giuseppe, poco più di mezz’ora, ma questo avrebbe comportato la necessità di trovare un mezzo di trasporto per raggiungere la macchina. Alberto, superando la reticenza di Giuseppe, ha telefonato a Marcello per verificare la sua disponibilità a prenderci a Mandanici e una volta ottenuta, abbiamo deciso quale itinerario seguire.
Alle 13,35 siamo scesi dalla cima per raggiungere la strada in basso senza seguire un sentiero, camminando in fuori pista tra le rocce sparse e, nella parte più in basso, tra le alte felci dove , dopo un quarto d’ora, poco prima di raggiungere la strada, abbiamo incrociato un grosso bruco.
La sterrata prosegue con contenuti saliscendi tra alberi di lecci,abeti, robinie e pini, uno dei quali , con buona parte delle radici nel vuoto, abbiamo fotografato alle 14,20.
Dopo un paio di minuti abbiamo superato i ruderi di una piccola costruzione, parzialmente coperta con lastre di eternit, che in passato ha offerto rifugio ad alcuni escursionisti guidati da Giuseppe.
Alle 15,37 abbiamo superato due pilastri posti ai lati della strada per alloggiare una catena e da qui si ha un’altra prospettiva di Monte Cavallo e del mare Ionio.
Alle 14,41, a circa 2,2 chilometri dalla cima, dopo avere superato pizzo Cipolla, la strada si innesta sulla Dorsale dei Peloritani che,; a destra prosegue per Monte Poverello, Piano ppseguendo si apprezzano splendidi panorami sui boschi e sulle vallate.
Dopo una decina di minuti si supera un cancello verde che sbarra una pista forestale di servizio che scende verso destra e dopo altri dieci minuti si intercetta fonte Lilicita dove si possono riempire le borracce.
Da qui in avanti la Dorsale si apre sul versante tirrenico con bellissimi scorci sulle montagne, su Rocca Vernava e , in fondo, sulla penisola di Milazzo e sul mare.
Alle 15,15 siamo finalmente arrivati a Postoleoni, a 4 chilometri e mezzo dalla partenza.
L’area attrezzata è ben tenuta, ci sono molti tavoli con panche, strutture per fare la brace,due fontane e un caratteristico pagliaio con dentro panche dove si può trovare riparo in caso di maltempo, dal momento che il grande edificio in muratura e i locali posti più in basso sono chiusi al pubblico.
Nella vasta area c’è anche un laghetto circolare completamente recintato per impedire di accedere per evitare incidenti come quello accaduto nel maggio del 2018 quando vi annegò un uomo di Mandanici.
Preso posto ad uno dei tavoli abbiamo consumato il nostro pranzo mentre dal cielo, nuovamente annuvolato, cadeva qualche gocciolina di pioggia.
L’area ricade nel comune di Pace del Mela, e seguendo una strada in discesa si arriva a Castel di Margi e a Castroreale.
Noi invece, intorno alle 16,00, ci siamo rimessi in cammino sulla strada che ,in salita, porta a Pizzo Mualio.
Dopo una quindicina di minuti abbiamo superato una edicola votiva eretta come ex voto di ringraziamento alla Vergine Maria dai due componenti della pattuglia della Forestale da lei salvati in un incidente del 28 dicembre 1992 e dopo cinque minuti siamo arrivati ad un palo con sopra una stazione metereologica alimentata da due pannelli solari.
Qui si lascia la Dorsale dei Peloritani e si prosegue sulla Trazzera Mandanici-Piano Margi-Castroreale.
Alle 16,24, a un chilometro e mezzo da Postoleoni, alla fine della salita, sotto Pizzo Mualio, abbiamo fotografato una lapide con sopra scritto: ” A MARCELLO, IN RICORDO DEL PIACEVOLE TEMPO TRASCORSO INSIEME “ci è sembrata simpatica e l’abbiamo postata sulla chat di Recolacafè.
A questo punto ci siamo resi conto di essere stati troppo ottimisti quando avevamo dato appuntamento a Marcello alle 17,00 a Mandanici e gli abbiamo telefonato per dirgli di arrivare più tardi, ma la connessione non è riuscita.
Da qui in avanti la strada è tutta in discesa e l’abbiamo seguita senza prendere alcuna deviazione, superando alle 16,30 il cancello con uno scavalco che porta ad un casolare ristrutturato con un orto ben curato e successivamente Fossa Lupo, da dove parte una pista che porta al Torrente Dinarini, affluente del Torrente Pagliara che raggiunge Mandanici.
Per buona parte del percorso la strada corre tra gli alberi e supera il bosco delle Fate, dove anni fa Giuseppe incontrò un essere di bassa statura, quasi uno gnomo.
Partendo da questa esperienza la conversazione è scivolata su fatti inspiegabili accaduti in diverse occasioni e Elena ci ha parlato del libro che sta leggendo in questi giorni, scritto da Giandomenico Ruta, intitolato “Messina Infernale ” che tratta di fatti inquietanti che sono avvenuti in città, la terza, dopo Torino e Genova in cui ci sono persone che credono nel diavolo e celebrano messe nere e riti satanici con sacrifici umani.
Secondo l’autore ci sarebbero 1800 persone affiliate a queste sette i cui capi sarebbero insospettabili professionisti e uomini di potere della “Messina bene”.
Ad un certo punto ha chiamato Marcello,; che era già arrivato a Mandanici insieme a Santino, e Giuseppe gli ha detto di proseguire fino alla fine della strada asfaltata.
Proseguendo siamo stati superati da un gruppo di ciclisti che successivamente hanno incontrato Marcello.
Alle 17,30 dopo più di un’ora di discesa, abbiamo visto un cartello che indica il “Cammino Valle Dinarini” posizionato in maniera errata e Giuseppe lo ha ruotato come necessario.
Superato pizzo Melia, dove è installato un brutto, ma necessario ripetitore, siamo stati nuovamente chiamati da Marcello che aveva proseguito anche sulla strada sterrata e finalmente , alle 18,00 circa, siamo arrivati alla sua macchina.
Marcello ci ha accompagnati al lungomare di Roccalumera dove c’era la macchina di Elena e siamo tornati a Messina e poi hanno portato Giuseppe a recuperare la sua macchina al punto di partenza.
Il percorso complessivo registrato è stato di circa 22 chilometri, con una ascesa di 890 metri, il trekking è stato particolarmente piacevole, sia per i luoghi attraversati che per la piacevolissima compagnia e Giuseppe si è dimostrato, ancora una volta, una guida attenta e responsabile.


