Appuntamento alle 8,00 sulla N/T Elio.
Presenti: Marcello Aricò, Carmelo Geraci, Letizia Inferrera, Filippo Cavallaro, Antonio Zampaglione, Rosario Sardella, Eleonora Sardella, Nando Centorrino, Francesco Maggio, Angela Trimarchi, Donatella Alber, Giovanni Barbaro, Giovanna Alibrandi, Mimmo Delia, Anna Scannapieco,Rosalba Fera, , Lucia Annunziata, Mike Sfravara, Nina Coiro, Maurizio Inglese, Luisa Inferrera, Gabriella Panarello, Antonella Zangla, Flavia De Carlo, Franco Privitera, Chiara Calarco, Giuseppe Spanò, Katia Parisi, Angelo Salvo, Katia Tribulato, Enzo Scarcella, Angela D’Arrigo, Loredana Crimaldi, Tonino Seminerio, Giusi Quartaronello, Alberto Borgia. Altri partecipanti non soci: Antonello Gemelli, Patrizia Micalizzi, Annamaria Rosta,, Giacomo Ruello, Cettina Inferrera, Carlos Shiran, Cettina Cardile, e altre cinque persone di cui non conosco il nome. Arrivati alle 8,25 a Villa San Giovanni e preso posto sul pullmann ATAM guidato dal signor Nino Amodeo, che era pronto ad aspettarci all’uscita. Partenza alle 8,30. Viaggio regolare e arrivo a Mammola alle 9,40 , parcheggio sotto un viadotto della Strada statale 682 alcuni piloni del quale sono stati decorati da volontari e studenti.
Visita del museo MUSABA
Silvana, la guida che ci aspettava all’ingresso, ha aperto il cancello e ci ha introdotti nel lungo camminamento disseminato da cartelli dal tono per certi versi un poco minaccioso e inquietante.
Arrivati alla foresteria ci ha parlato di Nik Spatari e della sua compagna olandese Hiske Maas iniziando dalla sua biografia.
Nicodemo Spatari detto Nik nacque a Mammola, il 16 aprile 1929 , primo di otto figli e lì morì all’età di 91 anni.
Alla nascita aveva poco udito e successivamente, nel 1940, per un trauma causato dallo scoppio di un ordigno inesploso sulla spiaggia di Pellaro, dove suo padre era maresciallo dei Carabinieri, divenne completamente sordo.
La famiglia lo istruisce personalmente, impara a leggere dalla Bibbia che aveva sua madre e di cui diventa grande conoscitore e fervente credente fino alla fine della sua vita. Studia come autodidatta e seguendo il padre nei propri giri sviluppa le proprie capacità anche in campo scultoreo partendo dai materiali con cui entrava in contatto.
All’età di nove anni vinse a Berlino un premio internazionale di pittura .
Nel 1955 un evento rivelò l’arte di Spatari alla critica: all’età di ventisei anni, espose circa duecento opere al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria durante la sua prima mostra personale. La mostra, che fu coronata da un brillante successo, lo spinse alla ricerca di ambienti più fertili per la propria arte.
Durante gli anni cinquanta e anni sessanta viaggiò in Europa e nel 1958 espose alla Biennale di Venezia.
Alla fine degli anni cinquanta, si stabilì a Losanna, dove creò il prismatismo. Incontrò una giovane collezionista, Hiske Maas, unica figlia femmina di una facoltosa famiglia olandese che, contrariamente al volere dei genitori, all’età di 18 anni si trasferì a Londra dove frequentò l’accademia e andò in giro per il mondo. Hiske lo invitò a Parigi dove i due si misero insieme e si stabilirono per qualche tempo.
A Parigi Nik entrò in contatto con il mondo artistico e culturale e frequentò per circa due anni lo studio di Le Corbusier, congeniale alla sua inclinazione verso il primitivismo. Conobbe anche Jean Cocteau e incontrò Picasso e Max Ernst. Aderì al gruppo di artisti gravitanti intorno alla galleria CIGAPS (Centre international de groupement d’artistes peintres, sculpteurs).
Tornato in Italia nel 1966, si stabilì per un periodo a Milano dove, insieme alla compagna aprì la galleria d’arte Studio Hiske, a Brera, che rimase attiva fino al 1978.
Sul finire degli anni sessanta, Spatari decise di tornare in Calabria insieme ad Hiske Maas: si stabilirono per un breve periodo a Chiaravalle Centrale (CZ) dove su commessa dei Frati Minori Cappuccini e di qualche mecenate del luogo, dipinse l’abside e alcune cappelle laterali dell’antico Convento (alcune delle opere si possono ancora ammirare).
Nel corso della sua carriera pittorica e scultorea, Spatari fu autore di numerose opere all’interno di luoghi di culto calabresi, tra i quali le vetrate, gli affreschi e il mosaico sull’altare della Chiesa del monastero di San Domenico a Reggio Calabria.
Successivamente tornarono a Mammola suo paese natale, che aveva fatto conoscere a Hiske e di cui era rimasta affascinata , con l’intento di lavorare a un suo progetto: la realizzazione di un museo-laboratorio d’arte contemporanea .
A partire dal 1969 iniziò la realizzazione del Parco museo MUSABA ( acronimo che significa Museo Santa Barbara) a Mammola, sui resti di un monastero basiliano sul fiume Torbido, in una natura incontaminata, meravigliosa quanto ostile,
Il primo step del progetto consistette nella trasformazione del casello ferroviario dell’ex stazione calabro-lucana in abitazione-studio: eliminando le porte e le finestre, Spatari realizzò un cubo con delle feritoie di differenti forme; qui è palese il rimando alla Cappella Ronchamp di Le Corbusier.
La Foresteria, invece, costruita nel 2004-2005 oltre ad essere un’opera artistico-architettonica, è anche un residence con 11 stanze colorate e decorate con murales ispirati all’arte moderna e contemporanea, 22 posti letto e una sala da pranzo. Le pareti del chiostro della Foresteria sono caratterizzate da mosaici, realizzati con materiali di recupero come vetro e cemento colorato, ai quali Spatari dedicò gli ultimi 15 anni della sua vita studiando ogni figura e tagliando ogni frammento di ceramica, pezzo dopo pezzo.. L’artista faceva un bozzetto che riportava sul muro con una riga e una matita, poi iniziava a riempire le figure esterne e successivamente si dedicava allo sfondo. Il ciclo musivo è composto da 29 pannelli suddivisi in scene che rappresentano la storia dell’Uomo che inizia con Babilonia e dall’arte Sumera passando dal Vecchio Testamento al Nuovo Testamento. Di seguito si riportano solo i titoli dei pannelli senza farne alcuna descrizione. LO STENDARDO DI UR 1- Stendardo di UR : la guerra 2- Stendardo di UR : i prigionieri 3-I simbolici servi 4-Inanna dea dell’amore 5-Stendardo di ur: la pace 6-Stendardo di UR .I riti 7- Gilgamesh 8-Enkidu e l’amico caprone 9-Civiltà sumera : lavoro nei campi 10- Civiltà sumera: altri lavori.
ANTICO TESTAMENTO 11- Caino uccide Abele 12- Sacrificio di Isacco 13- Abramo e Sarah alla corte del Re 14- Il rapimento e la Ziqqurat 15- Il diluvio universale 16- Eva 17- L’albero della vita 18- Adamo 19- La scacciata dall’Eden 20- Mosè divide il Mar Rosso 21- Mosè e le tavole della legge 22-Lot in fuga da Sodoma 23- Giacobbe lotta contro l’Angelo. NUOVO TESTAMENTO 24-L’Annunciazione 25- La natività 26-La fuga in Egitto 27-L’Infanzia di Gesù 28- L’Ultima cena 29- Crocifissione e resurrezione
Un pannello rappresenta inoltre NIK IL GENIO e HISKE LA GUERRIERA
Con quest’opera di 1000 mq Nik raggiunge la pienezza della sua arte, ogni dettaglio è già un capolavoro. Ad ogni colore utilizzato all’interno di geometrie si accompagna una simbologia definita.
Nel cortile svetta una scultura in ferro saldato alta 16 metri che rappresenta un uomo che marcia. L’opera, intitolata L’Ombra della sera fa riferimento alla omonima celebre statuetta etrusca ed ha anche la funzione di meridiana.
Uscendo dalla Foresteria e costeggiando la ex stazione si entra nel parco dove c’è Fountain, una sfera divisa a metà, realizzata da Jing Jong Chen, che utilizza la tecnica del calcestruzzo dipinto e rivestimenti in pietrine di mare per decorare le sfere.
Più avanti si trova Punk , un’opera ricavata dal tronco di un olivo e successivamente completata con pietre.
Concetto universale
La scultura, diventata simbolo del parco stesso, è stata realizzata da studenti locali in calcestruzzo dipinto, ed è visibile in tutta la vallata, in quanto posta in alto sulla rupe Santa Barbara. Concetto Universale inoltre simboleggia varie forme proiettate verso l’alto all’infinito, come per esempio un “veliero”, “raggi solari” o persino una “cattedrale”.. Purtroppo due telecamere di sorveglianza, sistemate a metà altezza fatte installare da Hiske dopo la morte di Spatari deturpano l’intera opera.
In cima alla collina del parco, come una strategica sala di comando, sorge la Rosa dei Venti , una struttura annessa al museo, in cui si trovano esposte opere dell’artista realizzate dal 1943 al 2010. È stata costruita tra il 2008 e il 2013, con materiali recuperati direttamente dal sito come pietre provenienti dal complesso monastico, travi e legname dai boschi nelle vicinanze, utilizzati per realizzare il pavimento e per i rivestimenti interni, e ceramiche colorate, utilizzate per i rivestimenti esterni. Le forme geometriche utilizzate sono ispirate ai tipici triangoli egizi e agli esagoni dell’antico oriente. Il piano terra è adibito a spazio espositivo e biglietteria mentre l’ abitazione è al primo piano.
Pagato il biglietto di ingresso ( 10 euro + 3 per la guida) ci siamo soffermati a vedere i quadri , le stampe e le ceramiche realizzate da Spatari in vendita a prezzi piuttosto elevati.
Qui abbiamo incontrato Hiske Maas, dinamica ultraottantenne ancora in piena forma , che, dalle poche cose che ha detto, ha confermato la nomea di personaggio “strano”.
Passando attraverso un corridoio in legno che la collega alla Rosa dei Venti si raggiunge il monastero e l’ex chiesa di Santa Barbara.
Il monastero si trova nella parte più alta della rupe alla quale ha dato il nome (“rupe Santa Barbara)
Una prima chiesa paleocristiana fu costruita in quel luogo tra il 200 e il 300.
Il monastero vero e proprio fu fondato nel X secolo dall’Ordine basiliano, che possedeva numerosi terreni nei territori di Mammola.
Tra il 1000 e il 1100 la chiesa venne ristrutturata dai certosini, a seguito di un terremoto. Nel 1193 passò in possesso ai cistercensi, i quali vi rimasero fino al 1514.
Successivamente il complesso ritornò in possesso dei certosini, che lo ristrutturarono e vi rimasero fino all’abolizione del feudalesimo nel 1808.
In seguito fu abbandonato, spogliato di ogni rilievo architettonico e utilizzato come dimora da contadini. Nella seconda metà del Novecento la struttura, completamente diroccata e ricoperta solo di pietre e di rovi, venne poco per volta ripulita, prima solo da Nik e Hiske, poi con l’aiuto di scolaresche e della forestale e venne acquistato dalla Curia che ne era proprietaria. La chiesa fu ristrutturata tra il 1990 e il 1994 e accoglie il Sogno di Giacobbe l’opera che racconta con dovizia anatomica e purezza delle tinte la storia di un patriarca della Bibbia, in cui tanto Spatari si rispecchiò. Il capolavoro, conosciuto anche come la “Cappella Sistina della Calabria”, avvolge lo spettatore e lo trasforma in fruitore attivo dell’opera.
Il Sogno di Giacobbe è un affresco, alto 14 metri e lungo 6, che ricopre l’abside della chiesa.L’affresco è stato realizzato con una particolare tecnica: mentre il fondo è dipinto, le figure, gli animali e gli uomini sono ritagliate su fogli di legno leggero, successivamente dipinti e applicati come rilievi, dando l’impressione di essere staccate dal fondo e trasmettendo un senso di tridimensionalità. Per questo motivo l’opera può essere considerata un “murale tridimensionale”.
La figura di Giacobbe, che ha le stesse fattezze di Spatari, rappresenta la sofferenza e anche una sorta di alter-ego dell’artista. La scena della morte rappresenta la parte più significativa dell’intero affresco: Giacobbe viene raffigurato accasciato, accerchiato da donne che piangono. Spatari ha dichiarato di sentirsi simile a Giacobbe, poiché quest’ultimo, proprio come lui, ha dovuto lottare con gli uomini del suo tempo. Anche per questo motivo l’opera è dedicata a Tommaso Campanella, utopista autore della Città del Sole, e a Michelangelo, “astronauta della Cappella Sistina”, che hanno subito la persecuzione dei loro tempi come lui e Hiske che sono stati spesso osteggiati dai politici e dalle istituzioni ed hanno dovuto lottare per realizzare il loro progetto visionario.
Dalla Rosa dei Venti proseguendo su una strada in pietra, a un livello più basso, si trova il Camaleonte, una struttura abitabile in fase di restauro e Donna Fontana , una scultura-fontana, realizzata dall’artista statunitense Stevi Kerwin, che rappresenta una donna a pancia in giù. Nel 2006 l’opera è stata ricoperta da Spatari, insieme ad allievi e volontari internazionali, con frammenti di ceramica cotta.
Oltre le sculture di Nik Spatari, all’interno del parco è possibile osservare, oltre a quelle già descritte, opere di diversi artisti internazionali che sono stati ospitati al Musaba.
Tra queste
“Tredici sassi” creato dall’artista giapponese Shigeo Toya utilizzando del legno d’ulivo che riprende la forma dei sassi, che rappresenta la simbiosi tra alberi e artista.
“SaBa Lizard”
Questo progetto riguarda la realizzazione di sculture e dipinti ispirati a lucertole realizzate precedentemente da artisti internazionali. La prima opera del progetto è una scultura realizzata da Hiske Maas e Nik Spatari.
“La Stele” è una scultura realizzata in calcestruzzo dipinto dalla statunitense Mary Jane Moross. Il parallelepipedo è decorato con simboli che rappresentano un alfabeto personale dell’artista, ispirato al luogo.
Accanto alla strada statale è stato creato un labirinto di siepi, ispirato alla forma di un piede.
La Fondazione Spatari/Maas, a partire dagli Anni Ottanta, con varie manifestazioni propone non solo la valorizzazione della cultura e del territorio, ma si impose come volano di un nuovo modello educativo che lo inquadra come uno dei centri artistici più rivoluzionari del Mediterraneo.
Al Musaba vengono organizzate attività artistiche, come per esempio laboratori di mosaico e concorsi che coinvolgono studenti di tutte le età.
Vista la sostanziale indifferenza delle istituzioni pubbliche, c’è da augurarsi che, dopo la morte di Hiske, ci sia qualcuno capace di portare avanti questa meritoria e poco conosciuta realtà evitandone la lenta scomparsa.
Sollecitati da Katia e Giuseppe, organizzatori del tour, che erano in contatto con i ragazzi della pro-loco che ci avrebbero fatto da guida per la visita del borgo, ci siamo affrettati ( per modo di dire ) per tornare al pullman che è partito alle 11,44, arrivando in paese alle 12,00
I due ragazzi della proloco ci aspettavano in piazza e ci hanno portato alla vicina
chiesa dedicata a San Filippo Neri, risalente al 1621. Questo luogo di culto si distingue per la struttura semplice, caratterizzata da una piccola navata unica che invita alla riflessione e alla tranquillità dell’animo. Entrando, ci si imbatte nelle statue dedicate a San Filippo Neri e a San Sebastiano, figure di grande fascino e devozione.
Interessanti le pareti interne, impreziosite da tre opere in olio su tela. Tra queste, una in particolare, si dice che appartenga alla scuola del Caravaggio, lasciando intuire l’influenza dell’artista e la qualità delle opere custodite all’interno di questo tempio.
Proseguendo per alcune decine di metri sulla stessa via Dante siamo arrivati al laboratorio di lavorazione del pescestocco di Giuseppe Alagna dove hanno spiegato le varie fasi della lavorazione partendo dal pesce essiccato
selezionato direttamente nelle Isole Lofoten in Norvegia, quando il pesce è appena pescato, tra i mesi tra febbraio e aprile, e lasciato essiccare sulle rastrelliere.
Una volta arrivato in azienda subisce una lavorazione accurata e artigianale : il pesce intero viene aperto con l’impiego di un particolare coltello con la punta a roncola , si pulisce togliendo le interiora ( i ventri) e si immerge in vasche di marmo per la reidratazione usando solo l’acqua oligominerale del posto, cambiata giornalmente per 10/15 giorni. Non si usa la calce, che sbianca e ammorbidisce la carne, alterandone la naturale compattezza e consistenza.
Dopo questo periodo viene introdotto nelle celle a temperatura controllata dove completa il ciclo di preparazione ed è pronto per la vendita.
Chi prepara lo stocco a Mammola afferma che la causa della differenza di sapore rispetto ad altri stoccafissi risieda nella qualità dell’acqua di sorgente locale proveniente dalle Serre: l’acqua di Mammola, paese che è la porta dell’Aspromonte.
I ragazzi non hanno saputo rispondere a quando il pescestocco è arrivato in queste zone , per cui le seguenti informazioni sono state trovate in rete.
La storia dello stocco in Italia e in Calabria parte da molto lontano. Già dai tempi di Carlo Magno, il merluzzo pescato subiva il trattamento di essiccazione naturale che consentiva di portare il pesce sulle navi e di conservarlo per molto tempo.
C’è un personaggio storico che ha segnato le sorti le sorti culinarie dello stoccafisso nella tradizione italiana è Pietro Querini, mercante, navigatore, nonché Senatore della Repubblica di Venezia nel XV secolo.
Il 25 aprile 1431 Querini salpò da Candia (Creta) verso le Fiandre con un carico di 800 barili di Malvasia, spezie, cotone, cera e altre mercanzie di valore con un equipaggio di sessantotto uomini. Il 14 settembre però, superato Capo Finisterre (a nord ovest delle coste spagnole), l’imbarcazione di Querini venne sorpresa da ripetute tempeste e fu spinta al largo dell’Irlanda. Il peggio arrivò quando si ruppe il timone e la nave restò disalberata, andando alla deriva per diverse settimane.
Nel mese di dicembre l’equipaggio decise di abbandonare il relitto e si divise: alcuni si imbarcarono su una scialuppa, altri su una lancia più grande, comprendente Querini. Della prima imbarcazione non si ebbero più notizie, ma la lancia andò a lungo alla deriva, toccando finalmente terra il 14 gennaio 1432 nell’isola di Sandøy, vicino a Røst, nell’arcipelago norvegese delle Lofoten, con solo sedici marinai superstiti dei quarantasette imbarcati.
Pietro Querini e i suoi compagni vissero per undici giorni sulla costa nutrendosi di molluschi e accendendo fuochi per scaldarsi, fino a quando non furono avvistati dai pescatori dell’isola di Røst (isole Lofoten) che andarono in loro aiuto. I pescatori locali ospitarono Querini e gli altri superstiti nelle loro case per circa quattro mesi. Ed è proprio durante questo periodo che Querini ebbe modo di scoprire e conoscere i metodi di essicazione, conservazione e preparazione del merluzzo.
Il 15 maggio del 1432 Querini ripartì alla volta Venezia su una barca diretta a Bergen (Norvegia) con 60 stoccafissi essiccati. Qui li vendette per assicurarsi le risorse per tornare in Veneto. Proseguì poi per Londra e da lì giunse finalmente a Venezia nell’ottobre del 1432. A Venezia, Querini importò l’idea dello stoccafisso, che riscosse subito grande successo tra i veneziani: gustoso, leggero e soprattutto a lunga conservazione.
Con il tempo lo stoccafisso, in Veneto chiamato comunemente ( ed erroneamente) baccalà, divenne un classico, preparato con ricette che si tramandano da generazioni.
Il pesce di base è il merluzzo Gadus morhua, dell’ordine dei Teleostei, dal colorito verdastro o bruno, con macchiette gialle sul dorso e una linea laterale bianca su tutto il corpo, che quando viene conservato sotto sale prende il nome di baccalà mentre quando è essiccato stoccafisso.
Il pesce stocco arrivò in Calabria successivamente, nel XVI secolo. A Napoli si importava il merluzzo trattato dal nord Europa e lo si trasportava sulle navi fino ai porti calabresi, precisamente a Pizzo Calabro, da lì , a dorso di mulo,percorrendo i sentieri dell’Aspromonnte e delle Serre, giungeva anche in piccolissimi paesi montanari i cui abitanti apprezzavano questa tipologia di merluzzo per le sue qualità.
La lavorazione dello stocco è sempre avvenuta sul posto in Calabria e in maniera artigianale,
una volta, si lasciava reidratare nei torrenti che portavano questa acqua al centro abitato. Restavano in ammollo, con l’acqua che scorreva tra ciottoli e anfratti, per diversi giorni – anche 15 – affinché il merluzzo riprendesse le sue dimensioni.
Il paese di Mammola conta circa poco più di duemila abitanti ma, a dispetto delle sue dimensioni, è una località molto conosciuta e frequentata anche per mangiare il pesce stocco.
In paese tutti lo preparano tant’è che esiste una ricetta chiamata stocco alla mammolese fatta con patate, cipolle di Tropea, salsa di pomodoro, olive, capperi e peperoncino.
Vista la qualità del prodotto, ed il prezzo particolarmente conveniente ( 15 euro/kg) quasi tutti abbiamo ordinato pescestocco e/o baccalà che i ragazzi hanno confezionato sotto vuoto e poi consegnato direttamente al ristorante dove abbiamo pranzato.
La visita successiva è stata alla Chiesa Madre.
Di questo tempio non è nota l’esatta data di costruzione, ma sicuramente risale al periodo bizantino-normanno. Presenta una pianta a croce latina deformata. Nel XVI sec. è stata riedificata in stile rinascimentale a tre navate. E’ una delle chiese più grandi della Provincia di Reggio Calabria. Al suo interno si trova la Cappella di San Nicodemo, patrono di Mammola, dove sono conservate le sue reliquie dentro un’urna di bronzo.
Durante il veloce giro per le strette vie del borgo abbiamo visto le facciate di alcuni palazzi nobiliari e alcuni scorci delle ripide stradine e una graziosa fontana in ghisa.
Il toponimo Mammola è incerto, secondo alcuni deriverebbe da Mammolo, un pastore della zona, secondo altri dal fiore della Mammola , ufficialmente appare per la prima volta tra il XI e il XII secolo, in un documento che faceva parte dei beni del monastero di San Fantino. Inoltre, nel 1232, in un altro documento, si parla di un certo Rogerius de Mammula.
Le origini di Mammola risalgono al IV–V sec. a.C.: l’insediamento sorse sulle rovine di Malèa, colonia greco-locrese ricordata da Tucidide. Ai piedi scorre il fiume Chiaro, affluente del fiume Torbido. Nei pressi di quest’ultimo, un tempo detto Sagra, si sarebbe svolta nel VI secolo a.C. la cosiddetta battaglia della Sagra che vide i crotoniati sconfitti dai locresi alleati con i reggini.
Il nucleo di Mammola si sviluppò ulteriormente alla fine del X secolo d.C. Tra il 950 e il 986 sorse infatti un villaggio stabile, abitato dalle popolazioni che avevano abbandonato il litorale ionico per sfuggire alle incursioni saracene.
Nel corso degli anni i monasteri divennero centro spirituale e di cultura. I monaci si dedicavano alla miniatura, al mosaico, all’innografia, allo studio degli antichi testi e delle scienze. Nello scriptorium, luogo destinato alla copiatura a mano, venivano trascritti codici, testi e trattati.
La presenza del santo eremita Nicodemo, famoso per i miracoli e la disponibilità verso la povera gente, attrasse inoltre molti abitanti dei dintorni che, vista la fertilità dei terreni , si stabilirono e diedero vita all’agricoltura,
all’allevamento del bestiame e alla produzione della seta.
Dopo l’unità d’Italia, le difficili condizioni economiche e sociali incisero profondamente sul vivere della comunità dando luogo a fenomeni di rivolta popolare e di brigantaggio. Cominciò l’emigrazione durata sino alla fine del XX secolo, dimezzando la popolazione.
Gratificate da Marcello le due guide,che in verità hanno ampi margini di miglioramento , siamo risaliti sul pullman che ci ha portati, in perfetto orario, al ristorante “La taverna del borgo ” .
Questo ristorante, che molti di noi hanno già apprezzato due anni orsono, è rinomato per il menù a base di pescestocco preparato in ogni maniera.
Anche se oggi non è giorno festivo il locale era completamente pieno e ci siamo accomodati in tre tavoli apparecchiati nella saletta inferiore insieme a pochi altri commensali. Il nostro gruppo era formato da 49 persone, incluso l’autista che è stato nostro ospite.
Servizio molto efficiente e professionale, le portate arrivavano in continuazione dalla cucina, a dimostrazione della capacità organizzativa, nonostante ci fosse il pienone, e con la stessa velocità venivano divorate.
Le pietanze che abbiamo gustato sono state :
Formaggio con marmellata di cipolle e peperoncino, Insalata di stocco, Carpaccio di stocco, Fagioli con stocco, Frittelle di stocco, Bocconcini di baccalà e cipolla.
Gnocchi con funghi porcini, speck e stocco, Pasta fresca con pomodoro, funghi porcini e stocco, Stocco alla mammolese, Stocco arrosto, sorbetto al limone, liquore alla liquerizia o al mandarino, caffè.
Filippo, dal palato più sofisticato, ha notato che alcuni piatti potevano essere valorizzati con l’aggiunta di erbe aromatiche locali, qualche abbinamento era un po’ azzardato e il pescestocco arrosto non era particolarmente saporito, ma comunque Il pranzo ha soddisfatto tutti, sia per la qualità complessiva, per l’abbondanza e per il rapporto qualità/prezzo ( 35 euro invece dei 40 previsti, ottenuti grazie alle capacità di Giuseppe ) molto difficile da trovare in ristoranti di questo livello.
Al momento del caffè sono arrivati i due ragazzi della ditta Alagna che hanno consegnato il pescestocco precedentemente ordinato e finalmente,dopo la foto di gruppo siamo partiti alle 16,20 verso Pentidattilo.
Il viaggio di due ore sulla statale ionica SS 106 ha permesso a molti di fare una pennichella post prandiale, ma così non hanno potuto apprezzare alcuni tratti della costa con le spiagge molto belle di S.Anna, Capo Bruzzano, Ferruzzano e, dopo Capo Spartivento , le montagne siciliane con l’Etna .
Arrivo a Pentidattilo alle 18,20 dove l’autista, con una sapiente manovra in retromarcia, che ha strappato un meritato applauso, ha posteggiato il pullmann alla fine della strada asfaltata.
Toccata e fuga di Pentidattilo ( come si dice “baciammu ‘u Santu”)
Posto a 250 metri s.l.m. Pentidattilo ( e non Pentedattilo) sorge arroccato sulla rupe del Monte Calvario, dalla caratteristica forma che ricorda quella di una ciclopica mano con cinque dita, e da cui deriva il nome del borgo in lingua greca πέντα-δάκτυλος (traslitterato pènta-dàktylos), cioè “cinque dita”.
L’antico paese, che sorgeva a 320 metri di altitudine, è stato definitivamente abbandonato nel 1971, dopo che, tre anni prima, era stato dichiarato inabitabile: la popolazione, infatti, era migrata lentamente verso valle formando un nuovo piccolo centro dal quale si poteva ammirare il vecchio paese fantasma.
Solo ultimamente alcuni artigiani hanno riavviato delle botteghe, alle quali si è aggiunto un piccolo ristorante e un bar ,ma i residenti fissi sono solo due.
Il borgo è stato interessato da alcuni interventi di riqualificazione, quali il restauro di alcuni edifici, oltre al rifacimento della pavimentazione della stradina principale.
Da qui inizia la prima delle sei tappe del Sentiero dell’Inglese, cammino che nasce prendendo spunto dal diario del viaggiatore inglese dell’800, Edward Lear, che percorse a piedi la Calabria greca tra luglio e settembre del 1847 e che arriva a Staiti. Questo cammino potrebbe essere messo in programma per i trekking lunghi dei prossimi anni.
Velocisima visita dell’ antica chiesa dedicata alla “Madonna della Purificazione o Candelora” (XVI sec) risalente al periodo bizantino. Il culto alla Vergine prese grande incremento durante il XVI sec, quando, furono chiamati dai Francoperta (nobili reggini che detenevano la Baronia di Pentidattilo) i padri domenicani per abitare l’ annesso convento fondato nel 1554 .
Nel 1652 il convento, oggi non più esistente, fu soppresso per disposizione di Papa Innocenzo X mediante la “Bolla Instaurandae” che ordinava la chiusura dei piccoli conventi.
L’ edificio ecclesiale presenta un’unica navata e nel presbiterio, nella nicchia dell’altare maggiore, è presente la scultura rinascimentale, datata 1564, scolpita su marmo bianco di Carrara e raffigurante la Madonna della Candelora.
La statua, realizzata a Messina, fu commissionata da Giovanni Demetrio Francoperta, membro della famiglia Baronale, il quale fece apporre sul lato sinistro dello scannello il proprio stemma corredato con il suo nome. Ancora da identificare lo stemma che compare sul lato destro, accompagnato dalla sigla D.M., le cui lettere sono state interpretate come le iniziali dello scultore Domenico Mazzolo, ma recenti studi attribuiscono l’opera a Giuseppe Bottone. Al centro dello scannello è rappresentato il rito della Candelora.
Nella parte alta del borgo visitata la chiesa dei SS Apostoli Pietro e Paolo
La Chiesa è di antichissima data, già nel 1310 viene indicata come una delle 4 chiese protopapali della zona. Nel 1655 la chiesa, per il passaggio dal rito greco al rito latino, venne restaurata dall’arciprete Domenico Toscano di Bova , come testimonia una lastra con stemma e iscrizione posta all’interno della chiesa. Successivamente verso la fine dell’800, grazie all’ azione dei Ditterei Zema e Malavenda, la chiesa, ormai prossima a rovina, venne consolidata e abbellita.
La chiesa è a due navate e al suo interno sono conservate un acquasantiera e una fonte battesimale risalenti al XVII sec. ed una lapide sepolcrale marmorea con stemma gentilizio del 1627 del marchese di Pentedattilo Don Giuseppe Alberti. Una famosa pala d’altare del XVII sec., attribuita a GiovanBattista Caracciolo detto “il Battistello”, raffigurante i Santi Apostoli protettori Pietro e Paolo e la Vergine Assunta in cielo, venne trafugata nel 1972 e mai più ritrovata. Particolare è il campanile a guglia rivestito in maiolica,
Scattate alcune foto in posti panoramici e in piccole botteghe dove erano esposti souvenir artigianali e presa una bevanda al bergamotto nel piccolo bar siamo tornati al pullman e alle 18,56 siamo partiti per Villa San Giovanni dove ci siamo imbarcati sul traghetto delle 20,00 arrivato a Messina alle 20,25.
Giornata impegnativa e pienamente soddisfacente, la sola visita del Musaba, una inaspettata eccellenza, giustifica il tour.
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DA: amcba@libero.it |
A: amcba@libero.it, |
DATA: 21 Aprile 2025 18:23:32 UTC |
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