Trekking nel territorio del torrente Niceto del 5 ottobre 2025.
Appuntamento alle 8,00 all’Immacolata. Presenti:Francesco Pagano, Antonella Rotondo, Davide Pagano, Rosalba Fera, Lucia Orlando, Stefania Davì, Caterina Trovatello, Giuseppe Fava, Alberto Borgia.
Partenza e uscita allo svincolo di Rometta alle 8,20.
Alle 8,35 presa la deviazione per San Pier Niceto e all’inizio della strada ci siamo incontrati con la nostra guida, Pippo Carauddo, cugino di Francesco, e abbiamo seguito l’indicazione per l’area attrezzata di Liarusa , distante 10 chilometri.
Costeggiato per alcuni chilometri il torrente Niceto fino a quando la strada asfaltata fiisce e diventa sterrata per alcune centinaia di metri,poi si riprende l’asfalto lasciando il torrente sulla destra e si procede seguendo le indicazioni per Appennino tour bike .
Anche il fondo della strada asfaltata è in pessime condizioni, con buche profonde che richiedono molta attenzione. La strada corre nella verde vallata e ad un certo punto, a destra del torrente c’è una alta parete rocciosa buona come palestra per arrampicata.
L’alveo del torrente è ingombro di detriti e alberi trasportati dalle piene devastanti che hanno distrutto gli argini in diversi punti.
Sui terreni dell’intera vallata e delle zone confinanti ci sono le coltivazioni delle “Sbergie”, una cultivar di pesca nettarina (o pesca noce) uunica nel suo genere.
Conosciuta anche come smergia o pesca merendella, è un frutto raro e pregiato, apprezzato per la polpa bianca, dolce e profumata con un vago sentore di miele e agrumi.
Si dice che le sbergie siano state introdotte in Sicilia dagli arabi intorno al 965, attraverso sperimentazioni di innesti e il nome deriverebbe dall’arabo “al-berchiga”, passato poi al francese “alberges” e infine all’italiano attuale.
Alle 9,00 abbiamo incrociato una edicola votiva e, presa a destra la sterrata quasi nel greto l’abbiamo percorsa per un centinaio di metri fino a quando, superato il guado ,
abbiamo parcheggiato , alle 9,03 , in uno slargo in località Bonerba a 180 m di quota.
Alle 9,05 ci siamo messi in cammino prendendo la strada a destra.
La sterrata è in salita con pendenza moderata e buon fondo. Dopo un quarto d’ora si arriva ad una grande gebbia a pianta quadrata con all’interno un pilastro con la statua di un leone.
La giornata è bella, il cielo limpido di un bellissimo colore azzurro intenso che si abbina perfettamente alle diverse sfumature di verde della abbondante vegetazione.
Si procede sulla pista forestale di servizio in buone condizioni e con qualche breve rampa.
Alle 9:40 si comincia a vedere il mare Tirreno e, in senso orario , il paese di Roccavaldina , il cocuzzolo con il castello di Monforte Sangiorgio, poi l’altopiano del Palostrago con la sagoma della costruzione (da queste parti indicata come ” il mausoleo”) in cima e alla sua destra le case di Rometta montagna.
Il monte Palostrago deriva il suo nome dal greco Paleo Kastron, ovvero antico castello ad indicare la presenza di strutture difensive, muri e torri in zona occidentale e nord, erette in età bizantina in concomitanza con le prime incursioni musulmane. La rocca si erge con fianchi molto scoscesi a occidente e forniva un sicuro contrafforte alla difesa della città nelle complesse vicende che seguirono l’invasione islamica. Nel pianoro sulla cima sorge una piccola chiesetta circolare con cupola, dedicata alla Madonna del Palostrago, contenente la statua della madonna che, nel corso di una prolungata siccità nel XVIII secolo aveva fatto miracolosamente piovere.
Dalla fine dell’ottocento la chiesa fu utilizzata come ricovero per animali.
È certamente affermabile che l’edificio, in attesa di indagini archeologiche precise, sia frutto di diverse stratificazioni con modifiche, fra cui la recente imbiancata generale, che fanno somigliare la chiesetta a costruzioni militari rinascimentali, ma anche ai ben più recenti “bunker” della seconda guerra mondiale , mentre per alcuni questo tipo di costruzione a pianta centrale sarebbe da far risalire alla costruzione funeraria di epoca araba chiamata “marabutto” o “qubba”.
Proseguendo, la visuale sulla vallata si estende anche alle montagne quasi interamente coperte di alberi, tranne che nella parte alta in prossimità delle cime dove si vedono i segni di grandi frane sui fianchi non coperti dalla vegetazione.
Alle 9,52 , in corrispondenza di una curva, si vede Rocca Pioppo che impedisce la visita di Monte Rossimanno, meta, nei mesi scorsi, di un trekking di Giuseppe, Caterina e Sebastiano.
Dopo un’ora e dieci minuti dalla partenza si arriva su un tratto di strada in cresta da cui si vedono le due vallate e una parte della catena con pizzo Moda e, verso nord lo Stromboli e due navi cisterna in rada.
Dopo una cinquantina di metri si gira a sinistra e, in discesa, si passa sull’altra vallata. In lontananza si sente il rumore di moto fuoristrada. Si risale passando tra un boschetto di eucalipti ,lecci e pini. Lucia ha qualche problema con la gamba, ma procede senza arrendersi.
Alle 11:13 si arriva in un punto da cui si vede a sinistra Monte Papa con in cima la caratteristica vedetta della Forestale e ,poco dopo, a 4 km e 200 m dalla partenza, si arriva ad un bivio.
Proseguiamo sulla strada a sinistra , mentre la strada a destra, dove c’è un rudere in muratura, arriva all’Ipantano (?) e successivamente a San Pier Niceto.
Poco più avanti si supera il Vallone della Morte in un tratto relarivamente pianeggiante sempre tra gli alberi. Alle essenze di prima si aggiungono anche numerosi castagni carichi di ricci e cominciamo a raccoglierli.
Poco dopo si incontra un altro bivio e si prende la strada in discesa a sinistra tra gli impressionanti scavi fatti dai cinghiali alla ricerca di tuberi e cibo. Antonella, Alberto e qualche altro si dedicano alla raccolta di castagne , rallentando un poco la marcia.
Alle 11,32 siamo arrivati alla fontana di Acqua Bianca, sul lato destro della strada, sotto un grande noce, a circa 5 chilometri dalla partenza.
Proseguendo nel bosco di castagni dopo mezz’ora siamo arrivati a Portella Zii da dove si gode una bellissima vista su monte Cavo ( ?) e su Dinnammare. Si continua in salita costeggiando la recinzione a destra apprezzando tutte le montagne coperte di alberi.
Il cielo, da un azzurro smagliante si è tutto coperto di nuvole. Si vedono capo Milazzo e le isole.
Sulla strada ci ha superato un fuoristrada con una coppia di persone che avevamo incrociato poco prima mentre raccoglievano castagne.
Alle 12,00 siamo arrivati ad un’altra fontana, ben tenuta e recintata, con aiuole perimetrali in cui sono stati piantati alberelli di oleandri. Adiacenti alla strada ci sono due edifici in muratura in buone condizioni.
Alle 12,15 siamo arrivati in cima a monte Papa, a 607 m di altezza, a circa 6,2 chilometri dalla partenza.
Anche se l’altezza è limitata, la vista spazia su tutti i Peloritani e si vede il pizzo di rocca Mammone (?) e dietro di Monte Poverello.
La casetta in muratura della vedetta è in buone condizioni, ma un’anta della porta è stata sfondata e dentro è vandalizzata.
Sosta e riposo per consumare il pranzo e distribuzione delle spilline. Alle 13,00 circa, dopo la foto di gruppo, ci siamo messi nuovamente in marcia sulla strada che per circa quattro chilometri si sviluppa tutta in discesa.
Sul lato sinistro ci sono cumuli di felci tagliate per creare una striscia tagliafuoco e i resti della cenere di altri già bruciati.
Dopo una mezz’ora di tranquillo cammino ci siamo fermati per consentire a Francesco e a Giuseppe di riparare uno scarpone di Davide, in cui si era scollata la suola, con il nastro adesivo telato facente parte del kit di emergenza che il previdente Giuseppe si porta sempre nello zaino.
Alle 13,35 siamo arrivati ad un bivio dopo aver superato i pilastri di una pista forestale ed abbiamo proseguito sulla strada a destra.
Sul fianco della montagna sul versante opposto si vede un grosso complesso di costruzioni, forse un vecchio borgo o una grande masseria.
Da qui in poi si incontrano edifici a servizio di piccoli appezzamenti coltivati e
alle 14,20, a quasi dieci chilometri dalla partenza, siamo arrivati all’area attrezzata Liarusa, in buona parte distrutta e coperta da almeno un metro di detriti trasportati a valle dal torrente che hanno travolto tavoli, altalene e le postazioni per fare la brace .
Nello spiazzo più in basso c’erano comunque una dozzina di ragazzi che stavano arrostendo.
Immediatamente a valle si incontra un’altra fontana con abbondante acqua e poco dopo
abbiamo raggiunto,alle 14,30 le macchine.
Percorso complessivo di circa 11 chilometri con dislivello di 480 metri.
Visto che il percorso fatto all’andata aveva creato qualche problema alla macchina di Giuseppe, si è deciso di fare un altro percorso seguendo una strada più lunga, ma asfaltata, che inizia poco più a valle e porta al paese di San Pier Niceto e che Giuseppe ha sempre utilizzato per arrivare al punto di partenza.
La strada asfaltata attraversa la contrada abitata di Oliva, ma le condizioni sono pessime, con dossi, buche profonde, tratti in parte franati che costringono ad una guida prudente e a velocità ridotta, con frequenti discese dei passeggeri, che hanno meravigliato alcuni ragazzini in bicicletta, incontrati in contrada Zularino, , fino ad arrivare alla fine della salita all’incrocio con la strada che conduce al paese.
Per raggiungere la macchina di Pippo, dove ci siamo salutati, distante una quindicina di chilometri,abbiamo impiegato quasi un’ora.
Prr cui, vista l’esperienza è decisamente più conveniente percorrere anche al ritorno la stessa strada.
Fatto il cambio parziale degli equipaggi, Giuseppe, Stefania, Caterina ed Alberto sono rientrati a Messina mentre Francesco, Antonella, Rosalba e Davide sono passati dal Parco Corolla a Milazzo, dove hanno acquistato alla Decathlon un paio di scarponi per Davide e poi sono andati a Santa Lucia del Mela per assistere ad una rievocazione storica.
Trekking tranquillo e piacevole grazie anche alla nostra disponibile e preparata guida.
Oggi Tonino Seminerio, Giovanni Barbaro, Gino Biundo e Marcella De Francesco, che ieri sono andati insieme a due amici a Pizzo Vernà a collocare la targa del Progetto Gliottomille, hanno fatto un trekking a monte La Fossazza.
Appuntamento alle 8,00 all’Immacolata. Presenti:Francesco Pagano, Antonella Rotondo, Davide Pagano, Rosalba Fera, Lucia Orlando, Stefania Davì, Caterina Trovatello, Giuseppe Fava, Alberto Borgia.
Partenza e uscita allo svincolo di Rometta alle 8,20.
Alle 8,35 presa la deviazione per San Pier Niceto e all’inizio della strada ci siamo incontrati con la nostra guida, Pippo Carauddo, cugino di Francesco, e abbiamo seguito l’indicazione per l’area attrezzata di Liarusa , distante 10 chilometri.
Costeggiato per alcuni chilometri il torrente Niceto fino a quando la strada asfaltata fiisce e diventa sterrata per alcune centinaia di metri,poi si riprende l’asfalto lasciando il torrente sulla destra e si procede seguendo le indicazioni per Appennino tour bike .
Anche il fondo della strada asfaltata è in pessime condizioni, con buche profonde che richiedono molta attenzione. La strada corre nella verde vallata e ad un certo punto, a destra del torrente c’è una alta parete rocciosa buona come palestra per arrampicata.
L’alveo del torrente è ingombro di detriti e alberi trasportati dalle piene devastanti che hanno distrutto gli argini in diversi punti.
Sui terreni dell’intera vallata e delle zone confinanti ci sono le coltivazioni delle “Sbergie”, una cultivar di pesca nettarina (o pesca noce) uunica nel suo genere.
Conosciuta anche come smergia o pesca merendella, è un frutto raro e pregiato, apprezzato per la polpa bianca, dolce e profumata con un vago sentore di miele e agrumi.
Si dice che le sbergie siano state introdotte in Sicilia dagli arabi intorno al 965, attraverso sperimentazioni di innesti e il nome deriverebbe dall’arabo “al-berchiga”, passato poi al francese “alberges” e infine all’italiano attuale.
Alle 9,00 abbiamo incrociato una edicola votiva e, presa a destra la sterrata quasi nel greto l’abbiamo percorsa per un centinaio di metri fino a quando, superato il guado ,
abbiamo parcheggiato , alle 9,03 , in uno slargo in località Bonerba a 180 m di quota.
Alle 9,05 ci siamo messi in cammino prendendo la strada a destra.
La sterrata è in salita con pendenza moderata e buon fondo. Dopo un quarto d’ora si arriva ad una grande gebbia a pianta quadrata con all’interno un pilastro con la statua di un leone.
La giornata è bella, il cielo limpido di un bellissimo colore azzurro intenso che si abbina perfettamente alle diverse sfumature di verde della abbondante vegetazione.
Si procede sulla pista forestale di servizio in buone condizioni e con qualche breve rampa.
Alle 9:40 si comincia a vedere il mare Tirreno e, in senso orario , il paese di Roccavaldina , il cocuzzolo con il castello di Monforte Sangiorgio, poi l’altopiano del Palostrago con la sagoma della costruzione (da queste parti indicata come ” il mausoleo”) in cima e alla sua destra le case di Rometta montagna.
Il monte Palostrago deriva il suo nome dal greco Paleo Kastron, ovvero antico castello ad indicare la presenza di strutture difensive, muri e torri in zona occidentale e nord, erette in età bizantina in concomitanza con le prime incursioni musulmane. La rocca si erge con fianchi molto scoscesi a occidente e forniva un sicuro contrafforte alla difesa della città nelle complesse vicende che seguirono l’invasione islamica. Nel pianoro sulla cima sorge una piccola chiesetta circolare con cupola, dedicata alla Madonna del Palostrago, contenente la statua della madonna che, nel corso di una prolungata siccità nel XVIII secolo aveva fatto miracolosamente piovere.
Dalla fine dell’ottocento la chiesa fu utilizzata come ricovero per animali.
È certamente affermabile che l’edificio, in attesa di indagini archeologiche precise, sia frutto di diverse stratificazioni con modifiche, fra cui la recente imbiancata generale, che fanno somigliare la chiesetta a costruzioni militari rinascimentali, ma anche ai ben più recenti “bunker” della seconda guerra mondiale , mentre per alcuni questo tipo di costruzione a pianta centrale sarebbe da far risalire alla costruzione funeraria di epoca araba chiamata “marabutto” o “qubba”.
Proseguendo, la visuale sulla vallata si estende anche alle montagne quasi interamente coperte di alberi, tranne che nella parte alta in prossimità delle cime dove si vedono i segni di grandi frane sui fianchi non coperti dalla vegetazione.
Alle 9,52 , in corrispondenza di una curva, si vede Rocca Pioppo che impedisce la visita di Monte Rossimanno, meta, nei mesi scorsi, di un trekking di Giuseppe, Caterina e Sebastiano.
Dopo un’ora e dieci minuti dalla partenza si arriva su un tratto di strada in cresta da cui si vedono le due vallate e una parte della catena con pizzo Moda e, verso nord lo Stromboli e due navi cisterna in rada.
Dopo una cinquantina di metri si gira a sinistra e, in discesa, si passa sull’altra vallata. In lontananza si sente il rumore di moto fuoristrada. Si risale passando tra un boschetto di eucalipti ,lecci e pini. Lucia ha qualche problema con la gamba, ma procede senza arrendersi.
Alle 11:13 si arriva in un punto da cui si vede a sinistra Monte Papa con in cima la caratteristica vedetta della Forestale e ,poco dopo, a 4 km e 200 m dalla partenza, si arriva ad un bivio.
Proseguiamo sulla strada a sinistra , mentre la strada a destra, dove c’è un rudere in muratura, arriva all’Ipantano (?) e successivamente a San Pier Niceto.
Poco più avanti si supera il Vallone della Morte in un tratto relarivamente pianeggiante sempre tra gli alberi. Alle essenze di prima si aggiungono anche numerosi castagni carichi di ricci e cominciamo a raccoglierli.
Poco dopo si incontra un altro bivio e si prende la strada in discesa a sinistra tra gli impressionanti scavi fatti dai cinghiali alla ricerca di tuberi e cibo. Antonella, Alberto e qualche altro si dedicano alla raccolta di castagne , rallentando un poco la marcia.
Alle 11,32 siamo arrivati alla fontana di Acqua Bianca, sul lato destro della strada, sotto un grande noce, a circa 5 chilometri dalla partenza.
Proseguendo nel bosco di castagni dopo mezz’ora siamo arrivati a Portella Zii da dove si gode una bellissima vista su monte Cavo ( ?) e su Dinnammare. Si continua in salita costeggiando la recinzione a destra apprezzando tutte le montagne coperte di alberi.
Il cielo, da un azzurro smagliante si è tutto coperto di nuvole. Si vedono capo Milazzo e le isole.
Sulla strada ci ha superato un fuoristrada con una coppia di persone che avevamo incrociato poco prima mentre raccoglievano castagne.
Alle 12,00 siamo arrivati ad un’altra fontana, ben tenuta e recintata, con aiuole perimetrali in cui sono stati piantati alberelli di oleandri. Adiacenti alla strada ci sono due edifici in muratura in buone condizioni.
Alle 12,15 siamo arrivati in cima a monte Papa, a 607 m di altezza, a circa 6,2 chilometri dalla partenza.
Anche se l’altezza è limitata, la vista spazia su tutti i Peloritani e si vede il pizzo di rocca Mammone (?) e dietro di Monte Poverello.
La casetta in muratura della vedetta è in buone condizioni, ma un’anta della porta è stata sfondata e dentro è vandalizzata.
Sosta e riposo per consumare il pranzo e distribuzione delle spilline. Alle 13,00 circa, dopo la foto di gruppo, ci siamo messi nuovamente in marcia sulla strada che per circa quattro chilometri si sviluppa tutta in discesa.
Sul lato sinistro ci sono cumuli di felci tagliate per creare una striscia tagliafuoco e i resti della cenere di altri già bruciati.
Dopo una mezz’ora di tranquillo cammino ci siamo fermati per consentire a Francesco e a Giuseppe di riparare uno scarpone di Davide, in cui si era scollata la suola, con il nastro adesivo telato facente parte del kit di emergenza che il previdente Giuseppe si porta sempre nello zaino.
Alle 13,35 siamo arrivati ad un bivio dopo aver superato i pilastri di una pista forestale ed abbiamo proseguito sulla strada a destra.
Sul fianco della montagna sul versante opposto si vede un grosso complesso di costruzioni, forse un vecchio borgo o una grande masseria.
Da qui in poi si incontrano edifici a servizio di piccoli appezzamenti coltivati e
alle 14,20, a quasi dieci chilometri dalla partenza, siamo arrivati all’area attrezzata Liarusa, in buona parte distrutta e coperta da almeno un metro di detriti trasportati a valle dal torrente che hanno travolto tavoli, altalene e le postazioni per fare la brace .
Nello spiazzo più in basso c’erano comunque una dozzina di ragazzi che stavano arrostendo.
Immediatamente a valle si incontra un’altra fontana con abbondante acqua e poco dopo
abbiamo raggiunto,alle 14,30 le macchine.
Percorso complessivo di circa 11 chilometri con dislivello di 480 metri.
Visto che il percorso fatto all’andata aveva creato qualche problema alla macchina di Giuseppe, si è deciso di fare un altro percorso seguendo una strada più lunga, ma asfaltata, che inizia poco più a valle e porta al paese di San Pier Niceto e che Giuseppe ha sempre utilizzato per arrivare al punto di partenza.
La strada asfaltata attraversa la contrada abitata di Oliva, ma le condizioni sono pessime, con dossi, buche profonde, tratti in parte franati che costringono ad una guida prudente e a velocità ridotta, con frequenti discese dei passeggeri, che hanno meravigliato alcuni ragazzini in bicicletta, incontrati in contrada Zularino, , fino ad arrivare alla fine della salita all’incrocio con la strada che conduce al paese.
Per raggiungere la macchina di Pippo, dove ci siamo salutati, distante una quindicina di chilometri,abbiamo impiegato quasi un’ora.
Prr cui, vista l’esperienza è decisamente più conveniente percorrere anche al ritorno la stessa strada.
Fatto il cambio parziale degli equipaggi, Giuseppe, Stefania, Caterina ed Alberto sono rientrati a Messina mentre Francesco, Antonella, Rosalba e Davide sono passati dal Parco Corolla a Milazzo, dove hanno acquistato alla Decathlon un paio di scarponi per Davide e poi sono andati a Santa Lucia del Mela per assistere ad una rievocazione storica.
Trekking tranquillo e piacevole grazie anche alla nostra disponibile e preparata guida.
Oggi Tonino Seminerio, Giovanni Barbaro, Gino Biundo e Marcella De Francesco, che ieri sono andati insieme a due amici a Pizzo Vernà a collocare la targa del Progetto Gliottomille, hanno fatto un trekking a monte La Fossazza.


