Appuntamento alle 19,30 all’Immacolata. Presenti Marcello Aricò, Carlo Panzera, Carmelo Geraci, Alberto Borgia, Rosario Sardella, Eleonora Sardella con la loro cagna Lola, Giovanni Barbaro, Melina Morabito, KatiaTribulato, Paolo Bossa, Giuseppe Finanze, Ciccio Briguglio, Angelo Salvo.
Formazione degli equipaggi e partenza alle 19,35.
Arrivati ai ripetitori sotto Dinnammare alle 20,20 e incontrati qui Filippo Cavallaro, Matteo Lorefice, Martina Bruno, Franco Privitera e Flavia De Carlo.
Da questo punto si gode una vista straordinaria della città illuminata , del porto, di tutto lo stretto e della costa calabrese da Capo dell’Arme fino al porto di Gioia Tauro ed oltre.
Telefonata ad Anna Costalunga che era andata, insieme ad Elena Serban e alla sua cagnetta Eja, al Santuario.
Quando sono arrivate ed hanno parcheggiato ci siamo messi in marcia, alle 20, 40 circa.
Imboccato lo stradone militare, una antica strada, probabilmente percorsa anche in epoca medievale , resa carrabile nei primi anni del ‘900 dal Genio Militare per raggiungere Portella Mandrazzi a Novara di Sicilia , e, da qui, immettersi sulla Strada di Randazzo fino alla città di Enna (antica Castrogiovanni), punto centrale e strategico per la difesa dell’Isola in caso di paventati sbarchi nemici.
La strada in parte metteva anche in collegamento alcune batterie da costa nella fascia ionica, i cosiddetti Forti Umbertini realizzati fra il 1885 e il 1902 e cioè la Batteria Puntal Ferraro, la Batteria Dinnammare ( abbattuta a seguito dei lavori di sbancamento attorno al Santuario) e la Batteria Monte Gallo a Larderia, poi intitolata al generale Giovanni Cavalli.
Oggi è la strada provinciale 50/bis che corre,in parte, fra panorami mozzafiato e paesaggi di incredibile bellezza.
Il tracciato della provinciale parte dal quadrivio di Portella Castanea e, in direzione sud, si snoda ad incontrare il Monte del Telegrafo (505 m. s. m.), le Quattro Strade Colle Sarrizzo, il Puntale Ferraro (575 m. s.l.m.), Monte Bandiera (876 m.), Monte Croce Cumia (865 m.), Sentiero Vivaio Ziriò, Monte Dinnammare col Santuario (1130 m.)
La dorsale dei Peloritani prosegue verso Pizzo Bottino (1077 m.), Piano Margi, Monte Poverello (1279 m.), Pizzo Barramanco, Monte Sereno (1075 m.) per concludersi a Portella Mandrazzi (1125 m.) dove inizia la catena dei Nebrodi.
Si tratta di un ambiente ancora incontaminato, con la presenza di numerose specie ornitologiche da passo e stanziali , piante endemiche e panorami vertiginosi dove l’occhio si perde fra cielo e mare.
A passo moderato, camminando da soli o formando piccoli gruppetti che si modificavano continuamente chiacchierando di vari argomenti e inebriandoci della bellezza di una fantastica notte primaverile, alle 21,40 abbiamo raggiunto il rifugio forestale Case Maressa, distante circa 2,8 chilometri dalle macchine.
Il rifugio è costituito da due stanze, di cui una con un camino, e un piccolo bagno vandalizzato e da un locale separato adibito a ricovero di animali, e ,come tanti altri sui nostri colli, versa in completo stato di abbandono.
Lo stesso si può dire dei tavoli in legno posti all’esterno e delle staccionate che avrebbero bisogno di continua manutenzione.
Preso posto ai tavoli abbiamo consumato la nostra cena al sacco e, qui seduti, ci hanno trovato Angela Paratore, Romina Mondello e Cinzia Cavallaro, arrivate intorno alle 22,00.
Durante la cena Filippo , sempre alla continua ricerca di fatti poco noti, ci ha raccontato la storia di queste zone.
Fino agli anni 60 i Peloritani erano intensamente coltivati su piccoli terrazzamenti frammentati tra i contadini dei casali montani. Questa cura si andò perdendo e per evitare che le piogge sgretolassero i terreni si avviò una attività di rimboschimento anche con l’introduzione di essenze estranee al nostro territorio quali gli eucaliptus.
In questa fase di forestazione il demanio cominciò a realizzare degli edifici per dare alloggio agli operai forestali. Le case costruite prima di Puntale Bandiera, zona di vedetta, furono occupate da un certo signor Maressa, che pur non avendo alcun rapporto con gli enti pubblici che operavano nel territorio, seppe imporsi ( camminava armato), e fu capace di governare la situazione.
In questo luogo, di cui divenne di fatto proprietario, faceva trovare ogni conforto a chi in mezzo alla montagna aveva di bisogno di un tetto, un pò di acqua, un pezzo di pane, ed anche , mettendo a frutto la professione più antica del mondo, una “coperta”.
Successivamente ci ha parlato del territorio dei Peloritani di cui Salvatore Quasimodo diceva sinteticamente ” Ferma è l’antica voce”.
Ferma perché le montagne sono ferme, antica voce la leggenda, il mito che ne tratta l’origine.
La leggenda di Peloro è ricordata e narrata dalla notte dei tempi quando Terra e Cielo si incontrarono e da questa unione vennero i Titani, i Ciclopi, i Giganti, tra cui il gigante Peloro, figlio di Urano e Gea.
Da qui prende il nome anche la ninfa Pelorias che, vivendo a Taormina, il limite sud dei Peloritani, aveva dominio fino a Patti, il limite ovest sempre della stessa catena montuosa.
Peloro è sempre stato il limite nord della Trinacria e dei Peloritani. Peloro è il luogo dove venne sepolto il nocchiero di Annibale, ucciso perché il suo comandante, nella fuga dai Romani durante le guerre puniche, si era convinto che lo stretto non avesse sbocco sul Tirreno .
Da quanto detto non si può accettare che il nocchiero Peloro sia colui che ha dato il nome a ciò che ha una storia molto più antica ed affascinante.
Peloro che quale faro, come il gigante di Rodi, secondo l’iconografia antica, segnalava la punta settentrionale della Sicilia e c’è da augurarsi che il mare restituisca qualche frammento della statua gigantesca che guidava i naviganti.
Accogliendo la proposta di Rosario, una dozzina dei presenti hanno deciso di fare un fuori programma e , partendo alle 22,15, hanno percorso le poche centinaia di metri necessari per raggiungere il vicino Puntale Bandiera.
Da qui si resta ammutoliti per quanto ci circonda e atmosfere come queste, che nel corso di una vita si presentano raramente, ti fanno riappacificare con il Creato.
La luce della luna in fase crescente, l’immensità del cielo stellato, l’aria calma e trasparente, il mare lontano, il profilo delle montagne , il silenzio della notte, ti portano a ringraziare con tutta l’anima perché sei vivo, qui ed ora, ed il canto “Signor tra le tende schierati” è sgorgato quasi spontaneamente dal profondo del cuore di quanti hanno avuto la fortuna di vivere, nella loro giovinezza, l’esperienza scout dei campi in tenda.
Alle 23,00 circa abbiamo ripreso lentamente la via del ritorno e ancora, senza un particolare motivo, qualcuno ha intonato i versi di una bellissima canzone il cui testo, grazie a Carmelo, riporto.
“Cu’ voli puisia”
Quannu cudda lu suli a Ntinnammari
spampana ‘u gersuminu li so’ ciuri
lu beddu portu ‘na ran tazza pari
digna di lu cchiu’ megghiu ‘mperaturi.
Diamantati di giujelli rari
Missina e Riggiu sunnu nu sprinnuri
e sutta li trimanti e vivi stiddi
suspira Scilla e spasima Cariddi.
Cu voli puisia
ppi’ cca’ l’avi a circari
‘nta st’isula ‘ncantata
‘nto nostru beddu mari
‘nta terra di Missina
chi dall’antichità
è stata la riggina
di tutti li città.
‘Nta stu canali priziusu e raru
li ninfi sparpagghiaru lu trisoru
e sutta l’acqua ‘na città isaru
casi d’argentu cu li scali d’oru
di lu San Sarvaturi a Capu Faru
vannu cantannu canzuneddi a coru
cu fina vuci e cu chiù finu visu
picchì da terra chistu è paradisu.
Cu voli puisia
ppi’ cca’ l’avi a circari
‘nta st’isula ‘ncantata
‘nto nostru beddu mari
‘nta terra di Missina
chi dall’antichità
è stata la riggina
di tutti li città.
Intorno alle 23,45 siamo stati superati da un fuoristrada proveniente da sud, con alcuni bambini a bordo, che agevolmentesuperava i profondi crepacci scavati dalle abbondanti piogge dei giorni scorsi sul fondo stradale normalmente compatto.Arrivo alle macchine alle 24,00 e tornati in città alle 0,40.
Percorso complessivo di circa 7,5 chilometri.
Il trekking di oggi che ha visto una eccezionale partecipazione grazie alle particolari condizioni e per il rinnovato invito fatto da Carlo, è stato senz’altro il più bello tra tutti quelli a cui ho partecipato e vorrei essere un poeta per descrivere adeguatamente le sensazioni e le emozioni che suscitano tanta bellezza che, per qualche minuto, ti fa dimenticare tutte le storture, i problemi, la rabbia e la frustrazione che si vivono quotidianamente e rinnova l’amore per la nostra negletta ed incomparabile città, che, nonostante tutto, continua a rubarti il cuore.
Questo diario è stato redatto con il contributo e la fattiva collaborazione di Filippo e di Carmelo a cui vanno i miei ringraziamenti.